sabato 4 settembre 2010

The Wedding di Beth Fantaskey - Giunti Editore - Capitoli da 19 a Epilogo




Capitolo 19

Mentre gli invitati prendevano posto alle nostre spalle, Alexandru Vladescu, l’antico vampiro che avrebbe presieduto l’intera cerimonia, allungò le mani tremanti e le posò sulle nostre fronti, esortandoci a chinare il capo per ricevere l’equivalente vampiresco di una benedizione. «Siamo qui questa sera per celebrare l’unione eterna del principe Lucius Vladescu e della principessa Antanasia Dragomir, e per dare loro la benedizione dei nostri clan» disse. La sua mano era sorprendentemente ferma sulla mia testa. «Da questo momento in avanti, come previsto dal patto stipulato alla loro nascita, vivranno e regneranno come un’entità unica e inscindibile». Dopo di che riportò le braccia lungo i fianchi e io e Lucius sollevammo lo sguardo. Quella sarebbe stata la penultima volta che avrei visto Lucius inchinarsi al cospetto di un altro vampiro, per quanto venerabile, saggio o potente fosse. L’ultima sarebbe stata in occasione della nostra incoronazione come re e regina. Sempre che quel giorno fosse arrivato… Con la coda dell’occhio guardai Lucius. Il naso dritto, il mento pronunciato e il ciuffo di capelli neri che gli ricadeva sulla fronte riflettevano la sua natura indomita, un’impetuosità a stento tenuta a freno, persino in un’occasione come quella. Lucius sarebbe stato il padre dei miei figli, i futuri principi e principesse… «Ma prima di tutto» disse Alexandru richiamando la mia attenzione e costringendomi a fissare quegli occhi la cui oscurità mi era ormai familiare. Gli occhi dei Vladescu avevano assistito a secoli, forse addirittura millenni, di matrimoni, di nascite… e di distruzioni. «Prima di tutto dovete dichiararvi marito e moglie al cospetto dei vostri testimoni». Questa volta fui io a stringere d’impulso la mano di Lucius, mentre prendevo un bel respiro. Quella era la parte più importante di tutta la cerimonia e anche se sapevo che Lucius voleva sposarmi, tremai per l’apprensione, mentre attendevo che la fatidica domanda venisse formulata. Nel mondo di cui stavo per entrare a far parte, un mondo dove le unioni erano davvero per l’eternità, le parole che avrei pronunciato di lì a poco sarebbero state irrevocabili. «Lucius Vladescu,» disse Alexandru, con tono solenne, quasi minaccioso «vuoi tu prendere Antanasia come tua sposa per l’eternità?». Io e Lucius ci guardammo e lui mi prese le mani fra le sue, facendo svanire di colpo ogni mia preoccupazione. Mi guardava con occhi sinceri, limpidi e, una volta ancora, vidi nel suo sguardo l’amore, che talvolta si nascondeva dietro una risata o un moto di frustrazione, per non parlare delle altre complesse emozioni che il mio taciturno principe provava, e che da qualche tempo a questa parte non esitava a dimostrarmi. Quella notte non c’era altro che amore nella sua voce, quando in tono ufficiale annunciò a tutti – e a me per prima: «Sì, prendo Antanasia come mia sposa, ora e per l’eternità». Anche se sapevo che Lucius avrebbe detto sì e che non c’era alcun motivo di temere, tirai ugualmente un sospiro di sollievo e mi commossi nel sentirlo pronunciare quelle parole ad alta voce. Lui voleva me, per sempre… Poi, mentre ci guardavamo, mano nella mano, Alexandru Vladescu disse il mio nome e mi rivolse la stessa domanda: «Antanasia Dragomir, vuoi tu prendere Lucius come tuo sposo per l’eternità?». Aprii la bocca, ansiosa di rispondere, senza nemmeno aspettare che la voce del vetusto vampiro si dileguasse nel silenzio della notte, perché non avevo dubbi riguardo a ciò che volessi fare. Conoscevo da sempre la risposta a quella domanda… Ma non feci in tempo a parlare, perché Lucius mi strinse le mani e dal suo sguardo capii che mi stava chiedendo di tacere. Poi abbassò lo sguardo. Attesi, cercando di capire cosa stesse facendo. All’improvviso sollevò la testa e fu allora che intravidi il luogo più recondito dell’anima di Lucius… vidi un lato di lui che non credevo mi avrebbe mai mostrato. Nemmeno se fossimo davvero vissuti l’uno al fianco dell’altra per l’eternità.


Capitolo 20

In quegli ultimi istanti, mentre pronunciavo la promessa e diventavo sua per sempre, Lucius mi rivelò l’esistenza di una zona oscura che nascondeva dentro e che una volta lo aveva spinto a minacciarmi con un paletto, prima di crollare e gridare in preda alla rabbia e alla disperazione: «Io distruggo qualsiasi cosa tocco!». Lo guardai a lungo negli occhi, decisa a non distogliere lo sguardo, sebbene fossi terrorizzata. Sapevo che non avrei mai più visto quella parte di lui – non così intensamente – e per questo mi sforzai di non distogliere lo sguardo. Fu così che vidi non solo il vampiro che aveva cercato di distruggermi e che poi aveva distrutto suo zio, e che probabilmente avrebbe continuato a distruggere, ma anche il bambino orfano, cresciuto a suon di percosse, non di carezze. Era come vedere tutta la sua storia scorrermi davanti agli occhi. Capii da dove proveniva la sua forza – la sua capacità di sopportare stoicamente il dolore, di comandare plotoni di vampiri e di non esitare a sacrificare la sua stessa esistenza, se necessario – e capii anche perché il potere nelle sue mani sarebbe sempre stato fonte di pericolo. Le radici di quel potere affondavano nella sofferenza non nell’amore. «Oh, Lucius…» mormorai, dimenticandomi della cerimonia e degli invitati. «Lucius…» Mi stava offrendo un’ultima possibilità di scappare, proprio come aveva fatto quella notte prima di bere il mio sangue. Quella era la mia ultima possibilità… Ma aver visto la sua vera anima, mi fece desiderare ancor più di stare con lui. Si fidava di me al punto tale da rivelarmi il lato più oscuro della sua natura. Non aveva mai conosciuto l’amore, ma sapeva che il nostro era abbastanza forte da farmi restare. Fra noi scese il silenzio. Il sangue sul palmo della nostra mano si stava coagulando, unendoci ancor di più. Intorno a noi, gli invitati erano all’oscuro di quanto stesse avvenendo fra noi. Probabilmente pensavano che stessi per ripensarci. All’improvviso, senza più ombra d’esitazione, con gli occhi fissi su quell’universo di dolore insopportabile e di forza sovrumana, dissi: «Sì, prendo Lucius come mio marito, ora e per l’eternità». Non appena pronunciai quelle parole, Lucius riabbassò lo sguardo, così capii che davvero non mi avrebbe più mostrato quella parte di sé, non così apertamente. Sapevo che era lì, sepolta in profondità, sapevo che non l’avrebbe usata contro di me, ma in ogni caso la minaccia che un giorno sarebbe riaffiorata nelle sue azioni era reale. In quanto sua moglie, era giusto che ne fossi consapevole. Quando riaprì gli occhi, vidi la felicità più totale che provava, rividi il vampiro arrogante, straordinario, intelligente, dolce e autoritario di cui mi ero innamorata. Lui sorrise e io ricambiai, perché sapevo che stavamo provando la stessa cosa. Nonostante la cerimonia non fosse ancora terminata, da quel momento eravamo ufficialmente marito e moglie. Morivo dalla voglia di baciarlo, suggellando così la promessa che ci eravamo appena scambiati… ma continuammo semplicemente a guardarci, assaporando la felicità e la sensazione di pace che quel momento ci aveva finalmente donato. Mi dovetti sforzare per distogliere lo sguardo da lui e smettere di sorridergli, ma entrambi dovemmo lasciare andare la mano dell’altro e rivolgerci di nuovo verso Alexandru, che fece cenno prima a Raniero, poi a Mindy, di andare a prendere i due calici d’argento che contenevano il nostro sangue.

 
Capitolo 21

Per quanto mi sforzassi di ricordare ogni dettaglio del resto della cerimonia, così come ricordavo il preciso istante in cui Lucius era diventato mio marito, solo alcuni momenti mi erano rimasti impressi nella memoria. Ricordavo quando Mindy mi aveva passato il calice con dentro il mio sangue, che presto avrei dovuto condividere con Lucius – sul suo viso un’espressione strana, quasi sofferente, invece delle lacrime di gioia che mi sarei aspettata – e il modo in cui lui aveva chiuso gli occhi mentre la prendeva dalle mie mani, se la portava alle labbra e beveva avidamente. Ricordavo come Raniero – che grazie all’insistenza di Lucius era riuscito a darsi un contegno e a decidersi a indossare lo smoking, assumendo così un aspetto sofisticato – gli aveva passato a sua volta il calice. Tutto questo era impresso nella mia mente come la “V” incisa su quell’antico calice, tanto simile all’elegante iniziale che tempo prima avevo visto sulla copertina del libro che mi aveva regalato Lucius. Non avrei mai potuto scordare il tono solenne con cui Lucius aveva detto “Ti offro nient’altro che il mio sangue, Antanasia… nient’altro che me stesso” e la pesantezza del calice che portai alla bocca con le mani che mi tremavano per l’emozione e il nervosismo. Ma il ricordo più indelebile sarebbe stato quello del sapore del suo sangue – l’essenza dolce, gelida, straordinaria che da tanto bramavo. Il calice non ne conteneva abbastanza da soddisfarmi – non era quello il suo compito in ogni caso – ma sapevo che ne avrei bevuto ancora di lì a poco… Ero riuscita a trattenere anche qualche immagine di Alexandru che svolgeva la pergamena dell’albero genealogico che Lucius mi aveva mostrato qualche mese prima e la posava sul tavolo di pietra, perché potessi scrivere il mio nome accanto a quello di mio marito. Mi ero voltata prima di posare la penna sul foglio e avevo visto mia madre che scoppiava di felicità, mio padre che piangeva senza ritegno, lo sguardo fiero e compiaciuto di Dorin, e Claudiu che guardava da un’altra parte mentre Lucius si chinava sul tavolo, aiutandomi a mantenere l’equilibrio mentre firmavo, e allo stesso tempo scriveva la data nello spazio bianco dove sarebbero stati scritti anche i nomi dei nostri figli con lo stesso inchiostro nero… Tutto questo era accaduto velocemente, finché Lucius non mi aveva fatto scivolare la fede al dito, e io avevo fatto lo stesso per lui, egoisticamente felice che quel simbolo, più della cicatrice sulla mano, avrebbe detto al mondo intero che lui mi apparteneva. Quella cicatrice aveva un preciso significato nel mondo dei vampiri, ma l’anello d’oro ne aveva uno di gran lunga più universale. Nessun’altra avrebbe potuto portarmelo via adesso… Lucius sollevò la mano sinistra, sorridendo come se mi avesse letto nel pensiero, perché era fin troppo ovvio che non vedevo l’ora di vedergliela indossare in pubblico. Terminato il rito delle fedi, Alexandru Vladescu finalmente pronunciò le parole che non avrei potuto attendere un secondo di più di sentire. «Lucius, puoi baciare la sposa».

 
Capitolo 22

Lucius mi prese entrambe le mani e, nonostante diventassi di nuovo consapevole delle persone che avevamo intorno mano a mano che la cerimonia volgeva al termine, tutto scomparve di nuovo, come se mio marito avesse poteri da stregone, grazie ai quali riusciva a far apparire e scomparire ciò che voleva. Quegli occhi magnetici nascondevano spazi infiniti… «Baciami» mi sussurrò, incurante del fatto che non avrebbe dovuto parlare in quel momento. «Bacia tuo marito». Il suo sguardo esprimeva non solo amore, ma anche malizia, cosa che avevo sempre amato in lui, mentre faceva un passo verso di me, e io non riuscii a trattenere un sorriso, una risata quasi, sopraffatta dalla gioia che avevo per troppo tempo nascosto e custodito in segreto, e che ora saliva prepotentemente in superficie, incontrollabile, al suono di quell’invito scherzoso di Lucius. Bacia tuo marito… Mi si avvicinò ancora e la sua possente figura sfiorò il mio corpo minuto. Poi mi cinse la vita con le braccia, stringendomi a sé. Sollevai lo sguardo e pochi istanti prima di chiudere gli occhi, vidi sostituirsi allo sguardo malizioso uno più solenne. Anche il mio sorriso svanì, mentre mi prendeva il viso fra le mani e mi sussurrava all’orecchio, con le labbra che mi sfioravano la pelle: «Ti amo ogni istante di più, Antanasia. E questo è solo l’inizio». Con gli occhi pieni di lacrime, lasciai che le sue labbra toccassero le mie, e ci baciammo per la prima volta come marito e moglie, un bacio che racchiudeva tutto ciò che avevamo vissuto fino a quel momento. L’ansia, l’agitazione, il batticuore e la meraviglia dell’istante in cui sentimmo di essere diventati una cosa sola. Poi lui premette un po’ più forte le sue labbra contro le mie ed esse si socchiusero leggermente – quanto bastava per permetterci di assaggiare il sapore del sangue che avevamo ancora in bocca. Percepii i suoi denti crescere, così come i miei. Ma non eravamo soli, così dovemmo staccarci l’uno dall’altra e Lucius accostò la fronte alla mia, sorridendo, e fu come se cercassimo di prolungare quel bacio con lo sguardo, in un istante che era solo nostro e che portava con sé la promessa di un futuro insieme, finché qualcuno – credo fosse Mindy – iniziò ad applaudire.


Epilogo

Nella radura in cui ci eravamo trasferiti dopo la cerimonia regnava il silenzio e i nostri invitati ci osservavano in trepidante attesa. Feci un passo verso Lucius che sollevò la mano sinistra con un gesto differente da quello della cerimonia. Mi offrì la sua mano con il palmo rivolto verso l’alto, così che potessi vedere chiaramente la “X” che vi era impressa. La presi con la mano destra e lui mi posò la sua sulla schiena, appena sotto le scapole. Poi portai la mano sinistra sul suo braccio destro, all’altezza del suo bicipite. In piedi uno davanti all’altra, in attesa delle note ammalianti della Sonata al Chiaro di luna di Beethoven, non mi preoccupavo affatto di non saper ballare. Lucius aveva provato a insegnarmi il walzer e la quadriglia nel suo studio, ma io non ero affatto migliorata rispetto alla prima volta che avevamo danzato sotto le lucine intermittenti – che non reggevano il confronto con l’oceano di candele che avevano illuminato la cerimonia – nella palestra della Woodrow Wilson High School. No, non sapevo ballare. Ma sapevo come far rimanere Lucius senza parole. Quando mio marito mi guardava, i suoi occhi esprimevano adorazione e rispetto. Il pianista iniziò a suonare, e io e Lucius movemmo i primi passi sulle note delicate e insieme coinvolgenti, misteriose della Sonata: simile a una cascata di luce, quella era l’espressione di ciò che sentivo ogni volta che rivedevo Lucius, anche dopo brevi separazioni come quella precedente alla cerimonia. Un’incontenibile ondata di gioia, serenità e insieme euforia che m’investiva ogni volta che lui entrava nella stanza, accompagnata anche da sensazioni più inquietanti… Ci portammo al centro del cerchio creato dagli invitati e Lucius sistemò meglio la mano che mi teneva sulla schiena, a contatto con l’abito scuro – una sorta di versione in negativo del tradizionale abito da sposa – che ero andata a mettermi dopo la cerimonia, perché il sangue della mano di Lucius mi aveva macchiato l’abito bianco, quando ci eravamo baciati. La musica subiva repentini cambi di ritmo, difficili da assecondare, e Lucius mi guidava verso la parte più commovente della Sonata guardandomi dritto negli occhi per aiutarmi a non inciampare. Non sarei mai riuscita a capacitarmi di quanto erano belli i suoi occhi… Mi sorrise e, com’era prevedibile, in quell’istante persi il ritmo e gli pestai un piede. Allora, rinunciando a seguire passi predefiniti, gli portai le braccia al collo, in preda al solo e unico desiderio di stringerlo a me. Quella musica, così struggente ed evocativa, di colpo iniziò a parlarmi del tempo… di anni, decadi, secoli… dell’eternità. Avevamo fatto una promessa, ma essendo dei sovrani, sapevamo bene che un giorno o l’altro qualcosa avrebbe potuto separarci, com’era successo ai nostri genitori. E sarebbe potuto accadere sia per mano di orde impazzite che di uno dei nostri simili… Quando accostai la testa al suo petto, anche Lucius rinunciò a guidarmi a passo di walzer e io gli accarezzai i capelli mentre dondolavamo, dicendo a me stessa di non cedere alla preoccupazione proprio la notte delle nostre nozze, perché la distruzione avrebbe potuto coglierci una settimana più tardi, come fra migliaia di anni. «C’è qualcosa che ti turba, moglie mia?» sussurrò Lucius, non perdendo occasione di pronunciare ancora una volta quella parola, moglie. «Sento che qualcosa t’impedisce di essere felice…» Sollevai lo sguardo, rendendomi così conto che anche alcuni degli invitati stavano ballando, e mi sforzai di sorridere perché non volevo che si preoccupasse e non volevo nemmeno rovinarmi la festa per colpa dei brutti pensieri che mi avevano assalito. Forse era stata la musica a intristirmi… «Mi stavo solo chiedendo come avessi fatto a trascinare un pianoforte su una montagna» gli dissi per smorzare la tensione. «Non dev’essere stato facile». Lucius scoppiò a ridere, sollevato, e mi strinse più forte a sé. «Sono contento che ti sia rimasto un briciolo della razionalità che ti contraddistingueva prima di diventare un vampiro, perché amo anche questo di te!» Diedi un’occhiata a quella radura rocciosa immersa nel verde, un luogo non molto appropriato per ospitare una festa, ma che per me aveva un significato speciale. «Scherzi a parte, Lucius,» continuai accarezzandogli la nuca col pollice e guardandolo negli occhi perché capisse che dicevo sul serio «grazie per aver reso possibile tutto questo. Il cibo, la musica… tutto». Lucius si fece serio. «Se questo è il luogo dove in sogno vedi tua madre e se questo è un modo per farti sentire la sua vicinanza, allora sono disposto a trascinare fin qui centinaia di pianoforti, solo per far sì che anche lei partecipi ai festeggiamenti». «So che è assurdo» confessai «ma io la sento davvero la sua presenza qui». Avevo visto quella radura per la prima volta quando ero uscita per una passeggiata a cavallo con Lucius, e avevo immediatamente riconosciuto la roccia dalla forma semicircolare che affiorava dal suolo, perché l’avevo già vista nei miei sogni, anche se era inverno e il terreno era ricoperto di neve. La sua forma era inconfondibile. Quella volta avevo tirato con violenza le redini, facendo impennare il cavallo, e avevo cercato con lo sguardo Mihaela, tanto ero convinta della sua presenza. Ma era un fantasma quello che cercavo, fantoma, come aveva detto uno dei miei nuovi compaesani. «Io sono tutt’altro che un tipo razionale, come ben sai» mi disse sorridendo facendo scivolare le mani sui miei fianchi. «Io credo molto nel potere dei sogni, come la maggior parte dei vampiri, del resto. Per me non è affatto una cosa assurda». Un brivido mi attraversò la schiena, perché i miei sogni erano assurdi eccome. A tratti inquietanti, come la Sonata… Mi voltai di scatto ma non udii altro se non il fruscio del vento fra i rami degli alberi, il tintinnio dei calici e conversazioni sommesse in lontananza. Tornai a guardare Lucius e vidi che sorrideva. «Ti eri accorto che la musica era finita?» gli chiesi. «E che tutti se n’erano andati?» «Sì» rispose Lucius, tenendomi ancora stretta a sé. «Ma non volevo che questo momento finisse». Ci separammo e rabbrividii, questa volta per il freddo… e l’emozione. Di lì a poco saremmo sgattaiolati via e non avremmo avuto più motivo di trattenerci, di smettere di baciarci, di accarezzarci… «Dovremmo salutare i nostri invitati adesso» suggerì Lucius, conducendomi verso una tenda bianca che ondeggiava al vento, sotto la quale si erano radunati tutti e dal cui soffitto pendevano lampadari di ferro che oscillavano pericolosamente. Come avessero fatto a issarli lassù, era un altro mistero, l’ennesima magia che mio marito aveva fatto per me quella notte, insieme a una festa riuscitissima, a una cena da sette portate e al pianoforte. «Si sentiranno in dovere di rimanere finché noi stiamo qui» aggiunse con un sorriso. «Perciò dovremmo andarcene presto, per liberarli da questo imbarazzo». Cercai di interpretare il suo sorriso mentre camminavamo mano nella mano. Forse aveva notato che tremavo o che si era fatto tardi. O magari era semplicemente ansioso… A giudicare dal modo in cui gli brillavano gli occhi, intuii che si trattasse della terza ipotesi. Entrammo nella tenda e iniziammo a salutare e a ringraziare tutti, e riuscii anche a trovare zio Dorin che avevo a malapena incrociato in tutta la serata. L’avevo visto solo due volte: una che parlava con Mindy e l’altra che cercava di far conversazione con Claudiu, che ovviamente aveva conosciuto alle riunioni degli Anziani, ma per il quale di certo non provava grande affetto. Anzi, proprio il contrario, probabilmente. «Oh, Antanasia» disse Dorin con gli occhi più lucidi del solito. «Ma che bella serata! Uno spettacolo. Sono così felice per voi!» «Grazie» risposi mentre mi avvicinavo per abbracciarlo. «Grazie di essere venuto e di aver reso possibile tutto questo». Dorin fece un passo indietro e scacciò con un gesto della mano quelle parole di riconoscenza, rischiando così di versare a terra il vino che stava gustando. «Oh, andiamo, io non ho fatto nient’altro che ciò che andava fatto!» Era vero, lo ringraziavo continuamente, ma come avrei potuto esprimere tutta la mia gratitudine a colui che aveva architettato un piano geniale per salvare Lucius quella notte nel fienile degli Zinn, inscenandone la distruzione, per poi recuperare il suo “cadavere” e riportarlo in Romania? Colui che aveva avuto il coraggio di disobbedire agli ordini di Lucius ed era tornato in America per informarmi che era ancora vivo? Lucius allungò una mano per stringere quella di Dorin e disse a sua volta: «Grazie, Dorin. Antanasia ha ragione. Hai avuto un ruolo fondamentale». Dorin gli strinse la mano, con quel fare un po’ dimesso che aveva sempre in presenza di mio marito. Ma andò totalmente in cortocircuito quando Lucius, stringendogli ancora più forte la mano ma con il sorriso sulle labbra, aggiunse: «A ogni modo, non ti consiglio di disobbedire ai miei ordini in futuro, per quanto buone siano le tue intenzioni!». Era una battuta… ma suonava anche come un avvertimento. Lucius era contento che Dorin gli avesse disobbedito, visti i risultati, ma come spesso mi diceva, i vampiri erano una razza indisciplinata e ci voleva poco a perdere il controllo, se ci si mostrava deboli. «Uno a zero per te!» rispose Dorin con un sorrisetto nervoso. Poi guardò me, con aria più rilassata ed esclamò: «Congratulazioni!». Lucius si guardò intorno, passando in rassegna tutti i volti, per poi esclamare: «Che fine ha fatto Claudiu?». Dorin, al quale stava ritornando il colorito sulle guance, sbiancò di nuovo e, senza osare guardarlo negli occhi, rispose a Lucius: «Claudiu? Non… non si sentiva molto bene. Credo che… che se ne sia andato». Lucius allora abbassò lo sguardo verso di lui con un sopracciglio sollevato. «Ah sì? Se n’è andato senza dirmi nemmeno una parola?» Al che Dorin diventò color della cenere, temendo che le ire del principe si abbattessero proprio su di lui, innocente ambasciatore di una notizia poco gradita. «Eh… sì, credo di sì». Mi sentii venir meno anch’io. Potevo immaginare perché Claudiu no si sentisse a suo agio in quella situazione. Non poteva sopportare l’idea che una Dragomir sposasse un Vladescu. A malapena sopportava la presenza di Dorin fra gli Anziani, e aveva persino distolto lo sguardo quando avevo scritto il mio nome sulla pergamena. Ero certa che anche Lucius avesse notato quel comportamento e non avesse nessuna intenzione di tollerare oltre… «Se vedi mio zio,» disse Lucius a Dorin «digli che gli farò visita uno di questi giorni per sincerarmi delle sue condizioni». «Lucius…» dissi posandogli una mano sul braccio, intuendo da quel tono imperioso che non sarebbe stata una visita di piacere. Non sembrava arrabbiato… ma di certo non aveva mandato giù il fatto che Claudiu si fosse dileguato nella notte senza nemmeno salutare. Avrebbe dovuto fare i conti con il suo gesto e accettare il mio ingresso in famiglia… e se non avesse voluto farlo, Lucius l’avrebbe costretto… «Farò in modo che a Claudiu venga recapitato il messaggio» promise Dorin, nervoso. Poi buttò giù in un sorso ciò che rimaneva del suo vino e deglutì rumorosamente. «Se lo vedo, glielo dico io stesso!» Lucius mi posò una mano sulla schiena e ci allontanammo da mio zio ma, dopo pochi passi, mi fermai e gli sussurrai: «Lucius, ti prego…». Ma che cosa avrebbe dovuto fare? Persino io mi rendevo conto che quella di Claudiu fosse stata una mancanza di rispetto nei nostri – nei miei – confronti e, dato che avremmo dovuto regnare insieme, era necessario mettere subito le cose in chiaro. Altrimenti Claudiu avrebbe pensato di potermi offendere e di passarla liscia ogni volta che voleva, e la cosa avrebbe danneggiato la mia già debole autorità. No, così non poteva andare. Improvvisamente mi venne in mente una frase su cui mi era caduto l’occhio mentre sfogliavo il libro che mi aveva lasciato in eredità la mia vera madre: «Il potere perso non è quasi MAI riconquistabile…». Tuttavia non avevo nessuna voglia di dare adito a un conflitto… Lucius interpretò la mia espressione di sgomento e mi prese un braccio fra le mani, poi sorridendomi mi rassicurò e mi sussurrò queste parole: «Sono solo scaramucce. Non preoccuparti troppo per problemi di portata insignificante come questo. Non è niente». Ma Lucius aveva distrutto il fratello di Claudiu. Un episodio di violenza c’era stato… Lucius capì che non mi aveva convinta del tutto. «Se può servire a sollevarti, porterò con me il mio fedele testimone» mi promise trattenendo a stento una risata. Poi raddrizzò le spalle e lanciò un’occhiata alla folla radunata sotto la tenda. «Dov’è Raniero? Mi ha abbandonato anche lui?» Anch’io allungai il collo per cercarlo. «L’ultima volta che l’ho visto, era con Mindy, ballavano a pochi passi da noi». Mentre li cercavo con lo sguardo, mi sembrò di ricordare di averli visti ballare con un certo trasporto. Mindy rideva. Forse si era resa conto che Raniero, pur non spiccando per fascino e stile, dopo tutto era un tipo divertente. Chissà, forse iniziava anche a piacerle… Con i capelli arruffati raccolti in una coda e uno smoking al posto di maglietta e bermuda, non mi era sembrato affatto male. Era alto, come tutti i Vladescu, e aveva insoliti occhi color grigioverde – probabilmente ereditati dal lato del clan italiano dei Lovatu – e un’espressione irresistibile. La maggior parte delle ragazze – posto che non l’avessero visto prima in ciabatte – sarebbero state ben liete di far coppia con lui a un ricevimento. Ma Mindy… insieme a un vampiro…? Mi voltai a guardare Lucius e dalla sua espressione intuii che stava pensando alla stessa cosa. «Non saranno…?» azzardai. Lucius scosse la testa sospirando. «Oh, spero proprio di no…» Avrei voluto chiedergli per chi fosse più preoccupato. Se per Raniero, fra le grinfie di Mindy, esperta su come “accalappiare” un ragazzo grazie ai consigli di Cosmopolitan o per Mindy… magari c’era qualcosa che non sapevo riguardo al passato sentimentale di Raniero Lovatu… Ma prima che potessi togliermi il dubbio, qualcuno mi toccò la spalla e mi voltai. Erano mamma e papà, e di colpo le supposizioni su Mindy e Raniero passarono in secondo piano. Percorremmo insieme ai miei genitori il sentiero in mezzo alla foresta che avrebbe condotto me e Lucius al castello. Lucius avrebbe voluto portarmi via – a Roma, a Parigi o in qualsiasi altro posto avessi voluto andare – ma io gli chiesi di tornare a casa. Volevo che trascorressimo la prima notte di nozze nella nostra stanza, nel letto dove avremmo dormito da quel momento in poi e nel quale un giorno avremmo concepito i nostri figli…. «Dovete andarvene proprio ora?» chiesi a mamma e papà. «Potreste restare da zio Dorin ancora per qualche giorno. Potremmo visitare…» Ma entrambi iniziarono a scuotere la testa. «No» disse la mamma. «Questa è la vostra luna di miele e domani mattina abbiamo l’aereo». «Ok» dissi rinunciando a insistere. Sapevo che non sarebbero rimasti, ma una parte di me non poteva fare a meno di aggrapparsi ancora a loro. «Capisco». Restammo ancora un po’ lì, tutti insieme, al limitare del bosco. Gran parte degli invitati avevano imboccato un sentiero più breve che conduceva a una strada sterrata, dove alcune auto li attendevano per accompagnarli ai piedi della montagna. Io e Lucius avevamo deciso di andare a piedi da soli, prendendo una scorciatoia che passava in mezzo al bosco. Non avevamo nemmeno voluto un autista. Volevamo restare soli. «Sicuri di voler passare di lì?» mi chiese papà, scrutando il bosco. «A me fa venire i brividi». Lucius, che fino a quel momento era rimasto in silenzio alle mie spalle, mi cinse con le braccia all’altezza del petto, come a voler essere il mio scudo. «Mi prenderò cura io di lei, Ned» lo rassicurò. «Conosco questi sentieri da sempre». Ebbi come la sensazione che non si riferisse a quei sentieri solo in senso letterale. Mio marito, che tanto amava le metafore, si stava riferendo al nostro futuro, alla strada che avevamo davanti da qui all’eternità. «Sai bene che la proteggerei a costo della vita» aggiunse. I miei genitori, che in passato avevano temuto che facesse proprio il contrario, lì per lì rimasero in silenzio. Poi mia madre disse: «Ne siamo certi, Lucius». Ci abbracciamo ancora una volta, e d’improvviso fu tempo di dirsi addio. Tuttavia, non appena ci voltammo per allontanarci, mi si riempirono gli occhi di lacrime e dovetti aggrapparmi a Lucius. Allora Lucius si fermò e voltandosi esclamò: «Ned, Dara!». «Sì, Lucius?» disse la mamma commossa. Lucius esitò un po’, cosa insolita per lui, ma poi disse: «Potrei… potrei chiamarvi “mamma” e “papà” in futuro?». Seguì un lungo silenzio e per un secondo – durante il quale mi ripresi anche da quell’inaspettata domanda – temetti che gli rispondessero di no. O che gli proponessero un’alternativa molto meno spontanea. Non deludetelo, volevo supplicarli. Altrimenti anche quella piccola parte indifesa che nascondeva dentro di sé, sarebbe andata in mille pezzi… Ma quando fecero per rispondere, capii che il silenzio era semplicemente dovuto al fatto che quel sentimentale di mio padre si era commosso di nuovo. Con voce strozzata e tono dolce, disse: «Ci piacerebbe molto, figliolo. Bando alle formalità in famiglia!». Lucius mi strinse forte la mano e a sua volta parlò con voce un po’ tremante: «Grazie. Significa tanto per me». Onestamente dubitavo che li avrebbe mai chiamati “mamma” e “papà” – non era facile immaginare quelle parole uscire dalla sua bocca – ma sapevo quanto fosse importante per lui sapere di poterlo fare. Gli bastava solo avere il permesso e ciò che esso implicava. Dopo di che, senza aggiungere altro, ci separammo, i miei si ricongiunsero al gruppo, mentre io e Lucius ci avviammo per il sentiero oscuro. Senza dirci una parola. Era bello stare insieme, ascoltare i suoni della notte, pensare a ciò che sarebbe accaduto, senza più timori. Poi, dopo qualche tempo, avvistammo il castello di Lucius, la nostra casa, e quando fummo davanti al pesante portone, una delle guardie, che probabilmente ci aveva seguito per tutto il tragitto tenendosi a debita distanza, si materializzò e ci aprì. Allora Lucius si chinò e mi prese in braccio. Quel gesto era così banale che scoppiammo a ridere, anche se in segreto avevo sperato che il mio cavaliere lo facesse ed ero contenta che ancora una volta non mi avesse deluso. Entrammo nella sala d’ingresso, dove tempo addietro mi aveva proclamata sua prigioniera e, sfiorando la fede che avevo al dito, capii che in fondo non era cambiato nulla da quella notte. Sin dai tempi in cui il patto era stato formulato, il nostro destino era stare insieme, che l’avessimo voluto o no. Mi aggrappai forte a lui, mentre attraversavamo innumerevoli corridoi, finché ci ritrovammo di fronte alla nostra camera da letto – nessuna guardia in vista questa volta. Eravamo finalmente soli. Lucius si chinò leggermente per afferrare la maniglia, la girò e aprì la porta. Poi mi posò con delicatezza a terra e mi abbracciò sussurrandomi: «Benvenuta a casa, Antanasia». Non risposi… non ci riuscii. Non volevo parlare… volevo solo lui. E dal suo sguardo capii che anche Lucius non poteva più aspettare. Dopo tutta quell’attesa, avremmo di nuovo bevuto l’uno il sangue dell’altra, condividendo tutto… Così Lucius allungò un braccio dietro la schiena, mentre mi cingeva la vita con l’altro, e baciandomi chiuse la porta lasciando tutto il resto fuori.

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