sabato 4 settembre 2010

The Wedding di Beth Fantaskey - Giunti Editore - Capitoli da 19 a Epilogo




Capitolo 19

Mentre gli invitati prendevano posto alle nostre spalle, Alexandru Vladescu, l’antico vampiro che avrebbe presieduto l’intera cerimonia, allungò le mani tremanti e le posò sulle nostre fronti, esortandoci a chinare il capo per ricevere l’equivalente vampiresco di una benedizione. «Siamo qui questa sera per celebrare l’unione eterna del principe Lucius Vladescu e della principessa Antanasia Dragomir, e per dare loro la benedizione dei nostri clan» disse. La sua mano era sorprendentemente ferma sulla mia testa. «Da questo momento in avanti, come previsto dal patto stipulato alla loro nascita, vivranno e regneranno come un’entità unica e inscindibile». Dopo di che riportò le braccia lungo i fianchi e io e Lucius sollevammo lo sguardo. Quella sarebbe stata la penultima volta che avrei visto Lucius inchinarsi al cospetto di un altro vampiro, per quanto venerabile, saggio o potente fosse. L’ultima sarebbe stata in occasione della nostra incoronazione come re e regina. Sempre che quel giorno fosse arrivato… Con la coda dell’occhio guardai Lucius. Il naso dritto, il mento pronunciato e il ciuffo di capelli neri che gli ricadeva sulla fronte riflettevano la sua natura indomita, un’impetuosità a stento tenuta a freno, persino in un’occasione come quella. Lucius sarebbe stato il padre dei miei figli, i futuri principi e principesse… «Ma prima di tutto» disse Alexandru richiamando la mia attenzione e costringendomi a fissare quegli occhi la cui oscurità mi era ormai familiare. Gli occhi dei Vladescu avevano assistito a secoli, forse addirittura millenni, di matrimoni, di nascite… e di distruzioni. «Prima di tutto dovete dichiararvi marito e moglie al cospetto dei vostri testimoni». Questa volta fui io a stringere d’impulso la mano di Lucius, mentre prendevo un bel respiro. Quella era la parte più importante di tutta la cerimonia e anche se sapevo che Lucius voleva sposarmi, tremai per l’apprensione, mentre attendevo che la fatidica domanda venisse formulata. Nel mondo di cui stavo per entrare a far parte, un mondo dove le unioni erano davvero per l’eternità, le parole che avrei pronunciato di lì a poco sarebbero state irrevocabili. «Lucius Vladescu,» disse Alexandru, con tono solenne, quasi minaccioso «vuoi tu prendere Antanasia come tua sposa per l’eternità?». Io e Lucius ci guardammo e lui mi prese le mani fra le sue, facendo svanire di colpo ogni mia preoccupazione. Mi guardava con occhi sinceri, limpidi e, una volta ancora, vidi nel suo sguardo l’amore, che talvolta si nascondeva dietro una risata o un moto di frustrazione, per non parlare delle altre complesse emozioni che il mio taciturno principe provava, e che da qualche tempo a questa parte non esitava a dimostrarmi. Quella notte non c’era altro che amore nella sua voce, quando in tono ufficiale annunciò a tutti – e a me per prima: «Sì, prendo Antanasia come mia sposa, ora e per l’eternità». Anche se sapevo che Lucius avrebbe detto sì e che non c’era alcun motivo di temere, tirai ugualmente un sospiro di sollievo e mi commossi nel sentirlo pronunciare quelle parole ad alta voce. Lui voleva me, per sempre… Poi, mentre ci guardavamo, mano nella mano, Alexandru Vladescu disse il mio nome e mi rivolse la stessa domanda: «Antanasia Dragomir, vuoi tu prendere Lucius come tuo sposo per l’eternità?». Aprii la bocca, ansiosa di rispondere, senza nemmeno aspettare che la voce del vetusto vampiro si dileguasse nel silenzio della notte, perché non avevo dubbi riguardo a ciò che volessi fare. Conoscevo da sempre la risposta a quella domanda… Ma non feci in tempo a parlare, perché Lucius mi strinse le mani e dal suo sguardo capii che mi stava chiedendo di tacere. Poi abbassò lo sguardo. Attesi, cercando di capire cosa stesse facendo. All’improvviso sollevò la testa e fu allora che intravidi il luogo più recondito dell’anima di Lucius… vidi un lato di lui che non credevo mi avrebbe mai mostrato. Nemmeno se fossimo davvero vissuti l’uno al fianco dell’altra per l’eternità.


Capitolo 20

In quegli ultimi istanti, mentre pronunciavo la promessa e diventavo sua per sempre, Lucius mi rivelò l’esistenza di una zona oscura che nascondeva dentro e che una volta lo aveva spinto a minacciarmi con un paletto, prima di crollare e gridare in preda alla rabbia e alla disperazione: «Io distruggo qualsiasi cosa tocco!». Lo guardai a lungo negli occhi, decisa a non distogliere lo sguardo, sebbene fossi terrorizzata. Sapevo che non avrei mai più visto quella parte di lui – non così intensamente – e per questo mi sforzai di non distogliere lo sguardo. Fu così che vidi non solo il vampiro che aveva cercato di distruggermi e che poi aveva distrutto suo zio, e che probabilmente avrebbe continuato a distruggere, ma anche il bambino orfano, cresciuto a suon di percosse, non di carezze. Era come vedere tutta la sua storia scorrermi davanti agli occhi. Capii da dove proveniva la sua forza – la sua capacità di sopportare stoicamente il dolore, di comandare plotoni di vampiri e di non esitare a sacrificare la sua stessa esistenza, se necessario – e capii anche perché il potere nelle sue mani sarebbe sempre stato fonte di pericolo. Le radici di quel potere affondavano nella sofferenza non nell’amore. «Oh, Lucius…» mormorai, dimenticandomi della cerimonia e degli invitati. «Lucius…» Mi stava offrendo un’ultima possibilità di scappare, proprio come aveva fatto quella notte prima di bere il mio sangue. Quella era la mia ultima possibilità… Ma aver visto la sua vera anima, mi fece desiderare ancor più di stare con lui. Si fidava di me al punto tale da rivelarmi il lato più oscuro della sua natura. Non aveva mai conosciuto l’amore, ma sapeva che il nostro era abbastanza forte da farmi restare. Fra noi scese il silenzio. Il sangue sul palmo della nostra mano si stava coagulando, unendoci ancor di più. Intorno a noi, gli invitati erano all’oscuro di quanto stesse avvenendo fra noi. Probabilmente pensavano che stessi per ripensarci. All’improvviso, senza più ombra d’esitazione, con gli occhi fissi su quell’universo di dolore insopportabile e di forza sovrumana, dissi: «Sì, prendo Lucius come mio marito, ora e per l’eternità». Non appena pronunciai quelle parole, Lucius riabbassò lo sguardo, così capii che davvero non mi avrebbe più mostrato quella parte di sé, non così apertamente. Sapevo che era lì, sepolta in profondità, sapevo che non l’avrebbe usata contro di me, ma in ogni caso la minaccia che un giorno sarebbe riaffiorata nelle sue azioni era reale. In quanto sua moglie, era giusto che ne fossi consapevole. Quando riaprì gli occhi, vidi la felicità più totale che provava, rividi il vampiro arrogante, straordinario, intelligente, dolce e autoritario di cui mi ero innamorata. Lui sorrise e io ricambiai, perché sapevo che stavamo provando la stessa cosa. Nonostante la cerimonia non fosse ancora terminata, da quel momento eravamo ufficialmente marito e moglie. Morivo dalla voglia di baciarlo, suggellando così la promessa che ci eravamo appena scambiati… ma continuammo semplicemente a guardarci, assaporando la felicità e la sensazione di pace che quel momento ci aveva finalmente donato. Mi dovetti sforzare per distogliere lo sguardo da lui e smettere di sorridergli, ma entrambi dovemmo lasciare andare la mano dell’altro e rivolgerci di nuovo verso Alexandru, che fece cenno prima a Raniero, poi a Mindy, di andare a prendere i due calici d’argento che contenevano il nostro sangue.

 
Capitolo 21

Per quanto mi sforzassi di ricordare ogni dettaglio del resto della cerimonia, così come ricordavo il preciso istante in cui Lucius era diventato mio marito, solo alcuni momenti mi erano rimasti impressi nella memoria. Ricordavo quando Mindy mi aveva passato il calice con dentro il mio sangue, che presto avrei dovuto condividere con Lucius – sul suo viso un’espressione strana, quasi sofferente, invece delle lacrime di gioia che mi sarei aspettata – e il modo in cui lui aveva chiuso gli occhi mentre la prendeva dalle mie mani, se la portava alle labbra e beveva avidamente. Ricordavo come Raniero – che grazie all’insistenza di Lucius era riuscito a darsi un contegno e a decidersi a indossare lo smoking, assumendo così un aspetto sofisticato – gli aveva passato a sua volta il calice. Tutto questo era impresso nella mia mente come la “V” incisa su quell’antico calice, tanto simile all’elegante iniziale che tempo prima avevo visto sulla copertina del libro che mi aveva regalato Lucius. Non avrei mai potuto scordare il tono solenne con cui Lucius aveva detto “Ti offro nient’altro che il mio sangue, Antanasia… nient’altro che me stesso” e la pesantezza del calice che portai alla bocca con le mani che mi tremavano per l’emozione e il nervosismo. Ma il ricordo più indelebile sarebbe stato quello del sapore del suo sangue – l’essenza dolce, gelida, straordinaria che da tanto bramavo. Il calice non ne conteneva abbastanza da soddisfarmi – non era quello il suo compito in ogni caso – ma sapevo che ne avrei bevuto ancora di lì a poco… Ero riuscita a trattenere anche qualche immagine di Alexandru che svolgeva la pergamena dell’albero genealogico che Lucius mi aveva mostrato qualche mese prima e la posava sul tavolo di pietra, perché potessi scrivere il mio nome accanto a quello di mio marito. Mi ero voltata prima di posare la penna sul foglio e avevo visto mia madre che scoppiava di felicità, mio padre che piangeva senza ritegno, lo sguardo fiero e compiaciuto di Dorin, e Claudiu che guardava da un’altra parte mentre Lucius si chinava sul tavolo, aiutandomi a mantenere l’equilibrio mentre firmavo, e allo stesso tempo scriveva la data nello spazio bianco dove sarebbero stati scritti anche i nomi dei nostri figli con lo stesso inchiostro nero… Tutto questo era accaduto velocemente, finché Lucius non mi aveva fatto scivolare la fede al dito, e io avevo fatto lo stesso per lui, egoisticamente felice che quel simbolo, più della cicatrice sulla mano, avrebbe detto al mondo intero che lui mi apparteneva. Quella cicatrice aveva un preciso significato nel mondo dei vampiri, ma l’anello d’oro ne aveva uno di gran lunga più universale. Nessun’altra avrebbe potuto portarmelo via adesso… Lucius sollevò la mano sinistra, sorridendo come se mi avesse letto nel pensiero, perché era fin troppo ovvio che non vedevo l’ora di vedergliela indossare in pubblico. Terminato il rito delle fedi, Alexandru Vladescu finalmente pronunciò le parole che non avrei potuto attendere un secondo di più di sentire. «Lucius, puoi baciare la sposa».

 
Capitolo 22

Lucius mi prese entrambe le mani e, nonostante diventassi di nuovo consapevole delle persone che avevamo intorno mano a mano che la cerimonia volgeva al termine, tutto scomparve di nuovo, come se mio marito avesse poteri da stregone, grazie ai quali riusciva a far apparire e scomparire ciò che voleva. Quegli occhi magnetici nascondevano spazi infiniti… «Baciami» mi sussurrò, incurante del fatto che non avrebbe dovuto parlare in quel momento. «Bacia tuo marito». Il suo sguardo esprimeva non solo amore, ma anche malizia, cosa che avevo sempre amato in lui, mentre faceva un passo verso di me, e io non riuscii a trattenere un sorriso, una risata quasi, sopraffatta dalla gioia che avevo per troppo tempo nascosto e custodito in segreto, e che ora saliva prepotentemente in superficie, incontrollabile, al suono di quell’invito scherzoso di Lucius. Bacia tuo marito… Mi si avvicinò ancora e la sua possente figura sfiorò il mio corpo minuto. Poi mi cinse la vita con le braccia, stringendomi a sé. Sollevai lo sguardo e pochi istanti prima di chiudere gli occhi, vidi sostituirsi allo sguardo malizioso uno più solenne. Anche il mio sorriso svanì, mentre mi prendeva il viso fra le mani e mi sussurrava all’orecchio, con le labbra che mi sfioravano la pelle: «Ti amo ogni istante di più, Antanasia. E questo è solo l’inizio». Con gli occhi pieni di lacrime, lasciai che le sue labbra toccassero le mie, e ci baciammo per la prima volta come marito e moglie, un bacio che racchiudeva tutto ciò che avevamo vissuto fino a quel momento. L’ansia, l’agitazione, il batticuore e la meraviglia dell’istante in cui sentimmo di essere diventati una cosa sola. Poi lui premette un po’ più forte le sue labbra contro le mie ed esse si socchiusero leggermente – quanto bastava per permetterci di assaggiare il sapore del sangue che avevamo ancora in bocca. Percepii i suoi denti crescere, così come i miei. Ma non eravamo soli, così dovemmo staccarci l’uno dall’altra e Lucius accostò la fronte alla mia, sorridendo, e fu come se cercassimo di prolungare quel bacio con lo sguardo, in un istante che era solo nostro e che portava con sé la promessa di un futuro insieme, finché qualcuno – credo fosse Mindy – iniziò ad applaudire.


Epilogo

Nella radura in cui ci eravamo trasferiti dopo la cerimonia regnava il silenzio e i nostri invitati ci osservavano in trepidante attesa. Feci un passo verso Lucius che sollevò la mano sinistra con un gesto differente da quello della cerimonia. Mi offrì la sua mano con il palmo rivolto verso l’alto, così che potessi vedere chiaramente la “X” che vi era impressa. La presi con la mano destra e lui mi posò la sua sulla schiena, appena sotto le scapole. Poi portai la mano sinistra sul suo braccio destro, all’altezza del suo bicipite. In piedi uno davanti all’altra, in attesa delle note ammalianti della Sonata al Chiaro di luna di Beethoven, non mi preoccupavo affatto di non saper ballare. Lucius aveva provato a insegnarmi il walzer e la quadriglia nel suo studio, ma io non ero affatto migliorata rispetto alla prima volta che avevamo danzato sotto le lucine intermittenti – che non reggevano il confronto con l’oceano di candele che avevano illuminato la cerimonia – nella palestra della Woodrow Wilson High School. No, non sapevo ballare. Ma sapevo come far rimanere Lucius senza parole. Quando mio marito mi guardava, i suoi occhi esprimevano adorazione e rispetto. Il pianista iniziò a suonare, e io e Lucius movemmo i primi passi sulle note delicate e insieme coinvolgenti, misteriose della Sonata: simile a una cascata di luce, quella era l’espressione di ciò che sentivo ogni volta che rivedevo Lucius, anche dopo brevi separazioni come quella precedente alla cerimonia. Un’incontenibile ondata di gioia, serenità e insieme euforia che m’investiva ogni volta che lui entrava nella stanza, accompagnata anche da sensazioni più inquietanti… Ci portammo al centro del cerchio creato dagli invitati e Lucius sistemò meglio la mano che mi teneva sulla schiena, a contatto con l’abito scuro – una sorta di versione in negativo del tradizionale abito da sposa – che ero andata a mettermi dopo la cerimonia, perché il sangue della mano di Lucius mi aveva macchiato l’abito bianco, quando ci eravamo baciati. La musica subiva repentini cambi di ritmo, difficili da assecondare, e Lucius mi guidava verso la parte più commovente della Sonata guardandomi dritto negli occhi per aiutarmi a non inciampare. Non sarei mai riuscita a capacitarmi di quanto erano belli i suoi occhi… Mi sorrise e, com’era prevedibile, in quell’istante persi il ritmo e gli pestai un piede. Allora, rinunciando a seguire passi predefiniti, gli portai le braccia al collo, in preda al solo e unico desiderio di stringerlo a me. Quella musica, così struggente ed evocativa, di colpo iniziò a parlarmi del tempo… di anni, decadi, secoli… dell’eternità. Avevamo fatto una promessa, ma essendo dei sovrani, sapevamo bene che un giorno o l’altro qualcosa avrebbe potuto separarci, com’era successo ai nostri genitori. E sarebbe potuto accadere sia per mano di orde impazzite che di uno dei nostri simili… Quando accostai la testa al suo petto, anche Lucius rinunciò a guidarmi a passo di walzer e io gli accarezzai i capelli mentre dondolavamo, dicendo a me stessa di non cedere alla preoccupazione proprio la notte delle nostre nozze, perché la distruzione avrebbe potuto coglierci una settimana più tardi, come fra migliaia di anni. «C’è qualcosa che ti turba, moglie mia?» sussurrò Lucius, non perdendo occasione di pronunciare ancora una volta quella parola, moglie. «Sento che qualcosa t’impedisce di essere felice…» Sollevai lo sguardo, rendendomi così conto che anche alcuni degli invitati stavano ballando, e mi sforzai di sorridere perché non volevo che si preoccupasse e non volevo nemmeno rovinarmi la festa per colpa dei brutti pensieri che mi avevano assalito. Forse era stata la musica a intristirmi… «Mi stavo solo chiedendo come avessi fatto a trascinare un pianoforte su una montagna» gli dissi per smorzare la tensione. «Non dev’essere stato facile». Lucius scoppiò a ridere, sollevato, e mi strinse più forte a sé. «Sono contento che ti sia rimasto un briciolo della razionalità che ti contraddistingueva prima di diventare un vampiro, perché amo anche questo di te!» Diedi un’occhiata a quella radura rocciosa immersa nel verde, un luogo non molto appropriato per ospitare una festa, ma che per me aveva un significato speciale. «Scherzi a parte, Lucius,» continuai accarezzandogli la nuca col pollice e guardandolo negli occhi perché capisse che dicevo sul serio «grazie per aver reso possibile tutto questo. Il cibo, la musica… tutto». Lucius si fece serio. «Se questo è il luogo dove in sogno vedi tua madre e se questo è un modo per farti sentire la sua vicinanza, allora sono disposto a trascinare fin qui centinaia di pianoforti, solo per far sì che anche lei partecipi ai festeggiamenti». «So che è assurdo» confessai «ma io la sento davvero la sua presenza qui». Avevo visto quella radura per la prima volta quando ero uscita per una passeggiata a cavallo con Lucius, e avevo immediatamente riconosciuto la roccia dalla forma semicircolare che affiorava dal suolo, perché l’avevo già vista nei miei sogni, anche se era inverno e il terreno era ricoperto di neve. La sua forma era inconfondibile. Quella volta avevo tirato con violenza le redini, facendo impennare il cavallo, e avevo cercato con lo sguardo Mihaela, tanto ero convinta della sua presenza. Ma era un fantasma quello che cercavo, fantoma, come aveva detto uno dei miei nuovi compaesani. «Io sono tutt’altro che un tipo razionale, come ben sai» mi disse sorridendo facendo scivolare le mani sui miei fianchi. «Io credo molto nel potere dei sogni, come la maggior parte dei vampiri, del resto. Per me non è affatto una cosa assurda». Un brivido mi attraversò la schiena, perché i miei sogni erano assurdi eccome. A tratti inquietanti, come la Sonata… Mi voltai di scatto ma non udii altro se non il fruscio del vento fra i rami degli alberi, il tintinnio dei calici e conversazioni sommesse in lontananza. Tornai a guardare Lucius e vidi che sorrideva. «Ti eri accorto che la musica era finita?» gli chiesi. «E che tutti se n’erano andati?» «Sì» rispose Lucius, tenendomi ancora stretta a sé. «Ma non volevo che questo momento finisse». Ci separammo e rabbrividii, questa volta per il freddo… e l’emozione. Di lì a poco saremmo sgattaiolati via e non avremmo avuto più motivo di trattenerci, di smettere di baciarci, di accarezzarci… «Dovremmo salutare i nostri invitati adesso» suggerì Lucius, conducendomi verso una tenda bianca che ondeggiava al vento, sotto la quale si erano radunati tutti e dal cui soffitto pendevano lampadari di ferro che oscillavano pericolosamente. Come avessero fatto a issarli lassù, era un altro mistero, l’ennesima magia che mio marito aveva fatto per me quella notte, insieme a una festa riuscitissima, a una cena da sette portate e al pianoforte. «Si sentiranno in dovere di rimanere finché noi stiamo qui» aggiunse con un sorriso. «Perciò dovremmo andarcene presto, per liberarli da questo imbarazzo». Cercai di interpretare il suo sorriso mentre camminavamo mano nella mano. Forse aveva notato che tremavo o che si era fatto tardi. O magari era semplicemente ansioso… A giudicare dal modo in cui gli brillavano gli occhi, intuii che si trattasse della terza ipotesi. Entrammo nella tenda e iniziammo a salutare e a ringraziare tutti, e riuscii anche a trovare zio Dorin che avevo a malapena incrociato in tutta la serata. L’avevo visto solo due volte: una che parlava con Mindy e l’altra che cercava di far conversazione con Claudiu, che ovviamente aveva conosciuto alle riunioni degli Anziani, ma per il quale di certo non provava grande affetto. Anzi, proprio il contrario, probabilmente. «Oh, Antanasia» disse Dorin con gli occhi più lucidi del solito. «Ma che bella serata! Uno spettacolo. Sono così felice per voi!» «Grazie» risposi mentre mi avvicinavo per abbracciarlo. «Grazie di essere venuto e di aver reso possibile tutto questo». Dorin fece un passo indietro e scacciò con un gesto della mano quelle parole di riconoscenza, rischiando così di versare a terra il vino che stava gustando. «Oh, andiamo, io non ho fatto nient’altro che ciò che andava fatto!» Era vero, lo ringraziavo continuamente, ma come avrei potuto esprimere tutta la mia gratitudine a colui che aveva architettato un piano geniale per salvare Lucius quella notte nel fienile degli Zinn, inscenandone la distruzione, per poi recuperare il suo “cadavere” e riportarlo in Romania? Colui che aveva avuto il coraggio di disobbedire agli ordini di Lucius ed era tornato in America per informarmi che era ancora vivo? Lucius allungò una mano per stringere quella di Dorin e disse a sua volta: «Grazie, Dorin. Antanasia ha ragione. Hai avuto un ruolo fondamentale». Dorin gli strinse la mano, con quel fare un po’ dimesso che aveva sempre in presenza di mio marito. Ma andò totalmente in cortocircuito quando Lucius, stringendogli ancora più forte la mano ma con il sorriso sulle labbra, aggiunse: «A ogni modo, non ti consiglio di disobbedire ai miei ordini in futuro, per quanto buone siano le tue intenzioni!». Era una battuta… ma suonava anche come un avvertimento. Lucius era contento che Dorin gli avesse disobbedito, visti i risultati, ma come spesso mi diceva, i vampiri erano una razza indisciplinata e ci voleva poco a perdere il controllo, se ci si mostrava deboli. «Uno a zero per te!» rispose Dorin con un sorrisetto nervoso. Poi guardò me, con aria più rilassata ed esclamò: «Congratulazioni!». Lucius si guardò intorno, passando in rassegna tutti i volti, per poi esclamare: «Che fine ha fatto Claudiu?». Dorin, al quale stava ritornando il colorito sulle guance, sbiancò di nuovo e, senza osare guardarlo negli occhi, rispose a Lucius: «Claudiu? Non… non si sentiva molto bene. Credo che… che se ne sia andato». Lucius allora abbassò lo sguardo verso di lui con un sopracciglio sollevato. «Ah sì? Se n’è andato senza dirmi nemmeno una parola?» Al che Dorin diventò color della cenere, temendo che le ire del principe si abbattessero proprio su di lui, innocente ambasciatore di una notizia poco gradita. «Eh… sì, credo di sì». Mi sentii venir meno anch’io. Potevo immaginare perché Claudiu no si sentisse a suo agio in quella situazione. Non poteva sopportare l’idea che una Dragomir sposasse un Vladescu. A malapena sopportava la presenza di Dorin fra gli Anziani, e aveva persino distolto lo sguardo quando avevo scritto il mio nome sulla pergamena. Ero certa che anche Lucius avesse notato quel comportamento e non avesse nessuna intenzione di tollerare oltre… «Se vedi mio zio,» disse Lucius a Dorin «digli che gli farò visita uno di questi giorni per sincerarmi delle sue condizioni». «Lucius…» dissi posandogli una mano sul braccio, intuendo da quel tono imperioso che non sarebbe stata una visita di piacere. Non sembrava arrabbiato… ma di certo non aveva mandato giù il fatto che Claudiu si fosse dileguato nella notte senza nemmeno salutare. Avrebbe dovuto fare i conti con il suo gesto e accettare il mio ingresso in famiglia… e se non avesse voluto farlo, Lucius l’avrebbe costretto… «Farò in modo che a Claudiu venga recapitato il messaggio» promise Dorin, nervoso. Poi buttò giù in un sorso ciò che rimaneva del suo vino e deglutì rumorosamente. «Se lo vedo, glielo dico io stesso!» Lucius mi posò una mano sulla schiena e ci allontanammo da mio zio ma, dopo pochi passi, mi fermai e gli sussurrai: «Lucius, ti prego…». Ma che cosa avrebbe dovuto fare? Persino io mi rendevo conto che quella di Claudiu fosse stata una mancanza di rispetto nei nostri – nei miei – confronti e, dato che avremmo dovuto regnare insieme, era necessario mettere subito le cose in chiaro. Altrimenti Claudiu avrebbe pensato di potermi offendere e di passarla liscia ogni volta che voleva, e la cosa avrebbe danneggiato la mia già debole autorità. No, così non poteva andare. Improvvisamente mi venne in mente una frase su cui mi era caduto l’occhio mentre sfogliavo il libro che mi aveva lasciato in eredità la mia vera madre: «Il potere perso non è quasi MAI riconquistabile…». Tuttavia non avevo nessuna voglia di dare adito a un conflitto… Lucius interpretò la mia espressione di sgomento e mi prese un braccio fra le mani, poi sorridendomi mi rassicurò e mi sussurrò queste parole: «Sono solo scaramucce. Non preoccuparti troppo per problemi di portata insignificante come questo. Non è niente». Ma Lucius aveva distrutto il fratello di Claudiu. Un episodio di violenza c’era stato… Lucius capì che non mi aveva convinta del tutto. «Se può servire a sollevarti, porterò con me il mio fedele testimone» mi promise trattenendo a stento una risata. Poi raddrizzò le spalle e lanciò un’occhiata alla folla radunata sotto la tenda. «Dov’è Raniero? Mi ha abbandonato anche lui?» Anch’io allungai il collo per cercarlo. «L’ultima volta che l’ho visto, era con Mindy, ballavano a pochi passi da noi». Mentre li cercavo con lo sguardo, mi sembrò di ricordare di averli visti ballare con un certo trasporto. Mindy rideva. Forse si era resa conto che Raniero, pur non spiccando per fascino e stile, dopo tutto era un tipo divertente. Chissà, forse iniziava anche a piacerle… Con i capelli arruffati raccolti in una coda e uno smoking al posto di maglietta e bermuda, non mi era sembrato affatto male. Era alto, come tutti i Vladescu, e aveva insoliti occhi color grigioverde – probabilmente ereditati dal lato del clan italiano dei Lovatu – e un’espressione irresistibile. La maggior parte delle ragazze – posto che non l’avessero visto prima in ciabatte – sarebbero state ben liete di far coppia con lui a un ricevimento. Ma Mindy… insieme a un vampiro…? Mi voltai a guardare Lucius e dalla sua espressione intuii che stava pensando alla stessa cosa. «Non saranno…?» azzardai. Lucius scosse la testa sospirando. «Oh, spero proprio di no…» Avrei voluto chiedergli per chi fosse più preoccupato. Se per Raniero, fra le grinfie di Mindy, esperta su come “accalappiare” un ragazzo grazie ai consigli di Cosmopolitan o per Mindy… magari c’era qualcosa che non sapevo riguardo al passato sentimentale di Raniero Lovatu… Ma prima che potessi togliermi il dubbio, qualcuno mi toccò la spalla e mi voltai. Erano mamma e papà, e di colpo le supposizioni su Mindy e Raniero passarono in secondo piano. Percorremmo insieme ai miei genitori il sentiero in mezzo alla foresta che avrebbe condotto me e Lucius al castello. Lucius avrebbe voluto portarmi via – a Roma, a Parigi o in qualsiasi altro posto avessi voluto andare – ma io gli chiesi di tornare a casa. Volevo che trascorressimo la prima notte di nozze nella nostra stanza, nel letto dove avremmo dormito da quel momento in poi e nel quale un giorno avremmo concepito i nostri figli…. «Dovete andarvene proprio ora?» chiesi a mamma e papà. «Potreste restare da zio Dorin ancora per qualche giorno. Potremmo visitare…» Ma entrambi iniziarono a scuotere la testa. «No» disse la mamma. «Questa è la vostra luna di miele e domani mattina abbiamo l’aereo». «Ok» dissi rinunciando a insistere. Sapevo che non sarebbero rimasti, ma una parte di me non poteva fare a meno di aggrapparsi ancora a loro. «Capisco». Restammo ancora un po’ lì, tutti insieme, al limitare del bosco. Gran parte degli invitati avevano imboccato un sentiero più breve che conduceva a una strada sterrata, dove alcune auto li attendevano per accompagnarli ai piedi della montagna. Io e Lucius avevamo deciso di andare a piedi da soli, prendendo una scorciatoia che passava in mezzo al bosco. Non avevamo nemmeno voluto un autista. Volevamo restare soli. «Sicuri di voler passare di lì?» mi chiese papà, scrutando il bosco. «A me fa venire i brividi». Lucius, che fino a quel momento era rimasto in silenzio alle mie spalle, mi cinse con le braccia all’altezza del petto, come a voler essere il mio scudo. «Mi prenderò cura io di lei, Ned» lo rassicurò. «Conosco questi sentieri da sempre». Ebbi come la sensazione che non si riferisse a quei sentieri solo in senso letterale. Mio marito, che tanto amava le metafore, si stava riferendo al nostro futuro, alla strada che avevamo davanti da qui all’eternità. «Sai bene che la proteggerei a costo della vita» aggiunse. I miei genitori, che in passato avevano temuto che facesse proprio il contrario, lì per lì rimasero in silenzio. Poi mia madre disse: «Ne siamo certi, Lucius». Ci abbracciamo ancora una volta, e d’improvviso fu tempo di dirsi addio. Tuttavia, non appena ci voltammo per allontanarci, mi si riempirono gli occhi di lacrime e dovetti aggrapparmi a Lucius. Allora Lucius si fermò e voltandosi esclamò: «Ned, Dara!». «Sì, Lucius?» disse la mamma commossa. Lucius esitò un po’, cosa insolita per lui, ma poi disse: «Potrei… potrei chiamarvi “mamma” e “papà” in futuro?». Seguì un lungo silenzio e per un secondo – durante il quale mi ripresi anche da quell’inaspettata domanda – temetti che gli rispondessero di no. O che gli proponessero un’alternativa molto meno spontanea. Non deludetelo, volevo supplicarli. Altrimenti anche quella piccola parte indifesa che nascondeva dentro di sé, sarebbe andata in mille pezzi… Ma quando fecero per rispondere, capii che il silenzio era semplicemente dovuto al fatto che quel sentimentale di mio padre si era commosso di nuovo. Con voce strozzata e tono dolce, disse: «Ci piacerebbe molto, figliolo. Bando alle formalità in famiglia!». Lucius mi strinse forte la mano e a sua volta parlò con voce un po’ tremante: «Grazie. Significa tanto per me». Onestamente dubitavo che li avrebbe mai chiamati “mamma” e “papà” – non era facile immaginare quelle parole uscire dalla sua bocca – ma sapevo quanto fosse importante per lui sapere di poterlo fare. Gli bastava solo avere il permesso e ciò che esso implicava. Dopo di che, senza aggiungere altro, ci separammo, i miei si ricongiunsero al gruppo, mentre io e Lucius ci avviammo per il sentiero oscuro. Senza dirci una parola. Era bello stare insieme, ascoltare i suoni della notte, pensare a ciò che sarebbe accaduto, senza più timori. Poi, dopo qualche tempo, avvistammo il castello di Lucius, la nostra casa, e quando fummo davanti al pesante portone, una delle guardie, che probabilmente ci aveva seguito per tutto il tragitto tenendosi a debita distanza, si materializzò e ci aprì. Allora Lucius si chinò e mi prese in braccio. Quel gesto era così banale che scoppiammo a ridere, anche se in segreto avevo sperato che il mio cavaliere lo facesse ed ero contenta che ancora una volta non mi avesse deluso. Entrammo nella sala d’ingresso, dove tempo addietro mi aveva proclamata sua prigioniera e, sfiorando la fede che avevo al dito, capii che in fondo non era cambiato nulla da quella notte. Sin dai tempi in cui il patto era stato formulato, il nostro destino era stare insieme, che l’avessimo voluto o no. Mi aggrappai forte a lui, mentre attraversavamo innumerevoli corridoi, finché ci ritrovammo di fronte alla nostra camera da letto – nessuna guardia in vista questa volta. Eravamo finalmente soli. Lucius si chinò leggermente per afferrare la maniglia, la girò e aprì la porta. Poi mi posò con delicatezza a terra e mi abbracciò sussurrandomi: «Benvenuta a casa, Antanasia». Non risposi… non ci riuscii. Non volevo parlare… volevo solo lui. E dal suo sguardo capii che anche Lucius non poteva più aspettare. Dopo tutta quell’attesa, avremmo di nuovo bevuto l’uno il sangue dell’altra, condividendo tutto… Così Lucius allungò un braccio dietro la schiena, mentre mi cingeva la vita con l’altro, e baciandomi chiuse la porta lasciando tutto il resto fuori.

mercoledì 1 settembre 2010

The Wedding di Beth Fantaskey - Giunti Editore - Capitoli da 13 a 18




Capitolo 13

M’infilai l’abito da sposa, dando le spalle allo specchio. Volevo vedere l’effetto finale, completo del trucco di Mindy e dell’acconciatura con l’elegante tiara di brillanti fra i riccioli neri, o forse avevo soltanto paura di guardarmi e di rendermi conto che… non ero bella come speravo. «Sei sicura di non aver bisogno di una mano?» mi chiese Mindy, in piedi dietro la porta che divideva le due stanze che Lucius aveva adibito a camerino. «Io sono la tua testimone!» «No, ce la faccio» le dissi. «Ora esco». Volevo essere la prima a vedermi come Lucius mi avrebbe vista quel giorno… Infilandomi il pesante abito di seta bianca e sistemandolo intorno alle mie curve generose, mi misi la mano sinistra sull’addome per evitare che scendesse mentre con l’altra mano tiravo su la zip fin dove riuscivo. Sorrisi ricordando l’imbarazzo che avevo provato la volta che, in un negozio a Lancaster County, Lucius mi aveva aiutato a chiudere un abito simile. Quella sera, mi avrebbero aiutato Mindy e la mamma, ma in futuro sarebbe stato compito esclusivo di Lucius. Avrei sentito le sue dita fredde sfiorarmi la pelle, proprio come la prima volta. Ma non avrei cercato di sottrarmi al sentimento che mi cresceva dentro, come avevo fatto allora… «Jess, vuoi farci morire di curiosità?» esclamò Mindy, ansiosa e impaziente. «Sbrigati!» «Arrivo» ribattei e tutto quell’entusiasmo nella sua voce mi fece sorridere di nuovo. Mi presi ancora un attimo per accarezzare quel tessuto elegante, apprezzando la morbidezza della seta di contro alla ruvidezza del pizzo e delle perline – un netto contrasto che tanto mi ricordava Lucius – prima di voltarmi e guardarmi finalmente allo specchio. Wow…
 
 
Capitolo 14
 
«Wow…» disse Mindy, arrestandosi di colpo davanti alla porta. Mi fissò per un lungo istante poi si avvicinò piano, come ipnotizzata da quell’abito. O forse da me. Fu allora che, per la prima volta, mi vide davvero come una principessa – perché una principessa mi sentivo io stessa. «Wow» tornò a ripetere, mettendosi al mio fianco, così che entrambe potessimo rimirare il mio riflesso nello specchio. Anche la mamma ci raggiunse, fermandosi dietro di me e posandomi le mani sulle spalle nude. Le lessi negli occhi che anche lei mi vedeva… diversa. «Gli toglierai il respiro» mi assicurò. Non risposi, perché non volevo sembrare vanitosa. Quali parole avrei potuto usare per dire loro che in quel momento anch’io non mi sentivo semplicemente una ragazza “carina”, ma la donna più bella sulla faccia della terra? La parte superiore dell’abito mi cadeva a pennello, sottolineando proprio quelle forme che avevo imparato ad apprezzare grazie a Lucius, e proseguiva in un interminabile strascico candido come la neve. Ma il corpetto non era bianco, come tradizione avrebbe voluto. Era avvolto in uno strato di seta nera, delicata e fine, come un manto di soffice, silenziosa nebbia color tortora. Sarebbe bastato questo particolare a rendere il mio abito non convenzionale. Ma io avevo voluto un abito che fosse unico sotto ogni aspetto, un abito che parlasse di me, di chi ero stata in passato – della ragazza innocente che ero – e allo stesso tempo della donna, la sovrana che stavo per diventare. Così avevo chiesto al sarto di aggiungere una cascata di fiori e foglie nere ricamate a mano che mi avvolgesse il corpo come una pianta rampicante che cresce selvaggia. Un tocco di mistero, di oscurità, quello che Lucius chiamava “il lato oscuro della natura” e che io avevo accolto in me nell’istante in cui ero diventata a tutti gli effetti un vampiro… Guardai il mio riflesso dritto negli occhi – grazie al trucco di Mindy il mio sguardo aveva acquistato fascino e sensualità – e capii che mamma aveva ragione. Avrei davvero lasciato Lucius senza fiato. Nello specchio si rifletteva anche una finestra dall’altra parte della stanza, così notai che la luce si stava facendo sempre più debole fuori. I vampiri dovevano essere già in marcia verso il luogo che Lucius aveva scelto per la cerimonia, qualsiasi esso fosse. Ero quasi pronta, mancava solo una cosa… Quando qualcuno bussò alla porta, il silenzio della stanza andò in mille pezzi e io, dimenticandomi completamente dell’abito e del fatto che uno dei compiti di Mindy e di mia madre fosse proprio quello di aprire la porta mentre mi preparavo per la cerimonia, corsi ad aprire e mi ritrovai davanti la persona che aspettavo e che, in un certo senso, temevo. Mi si serrò la gola, mentre gli facevo cenno di entrare. Ma l’avventore sapeva già cosa fare molto meglio di me e, proprio come immaginavo, si diresse senza esitazione e senza proferire parola, verso un tavolino sul quale adagiò il vassoio d’argento che aveva con sé. Poi, ancora in silenzio, tornò verso la porta e andò ad aspettare fuori, mentre io celebravo il primo rito di nozze. Quello che mi terrorizzava di più.
 
 
Capitolo 15
 
Me ne stavo in piedi davanti al tavolo a studiare gli oggetti sul vassoio, incapace di decidermi a toccarli. C’era un calice d’argento provvisto di coperchio e decorato con bassorilievi, che raffiguravano piante rampicanti, ormai anneriti dal tempo. Il processo di ossidazione li aveva resi così scuri che nemmeno un’attenta pulizia avrebbe potuto riportarli alla luce. La decorazione ricordava molto quella di pizzo nero del mio abito e la cosa mi rese ancora più sicura di aver scelto il motivo più adatto per l’occasione. Quando avevo disegnato il mio abito, ero entrata in comunicazione con mia madre, e con la madre di mia madre, e con tutte le Dragomir che avevano scelto questo simbolo prima di me nell’arco di centinaia di anni. Le mie antenate avevano sicuramente utilizzato anche il coltello che c’era accanto al calice. E la tazza che conteneva le erbe e le strisce di cotone bianco riposte ordinatamente sotto la lama… La mamma mi posò le mani sulle spalle ancora una volta. Non mi ero nemmeno accorta che lei e Mindy mi avessero raggiunto. Mi voltai piano verso di lei. «Mamma…?» sussurrai senza sapere cosa volessi chiederle. Allora la mamma mi rassicurò con un sorriso e dalla sua serenità trassi un po’ di coraggio. «Andrà tutto bene» mi promise, poi mi fece girare e mi strinse forte a sé. «Vado a raggiungere gli ospiti ora» disse poi scostandosi un po’ ma tenendo sempre le mie mani fra le sue, come a voler mantenere fino all’ultimo istante un contatto con me. «Mamma!» protestai aggrappandomi alle sue dita. «Non puoi andartene ora!» Volevo che rimanesse ad aiutarmi… Ma lei scuotendo la testa disse. «No, Antanasia. Ora devo andarmene». Conoscevo mia madre abbastanza bene da capire che aveva deliberatamente scelto quel preciso frangente per andarsene e che altrettanto di proposito mi aveva chiamato col mio nuovo nome. In questo modo voleva ricordarmi che ero una persona adulta ormai. Stavo per sposarmi e avrei dovuto superare tante difficoltà in futuro, e senza il suo aiuto. Era giunto per me il momento di affrontare tutto questo da sola… «So che è difficile, ma cerca di stare tranquilla» aggiunse la mamma. «Assapora ogni singolo istante di questa serata. Non avere paura – qui si tratta solo di te, di Lucius e della vostra reciproca promessa. Nient’altro conta». Feci un respiro profondo e risposi: «Lo so». «Ti voglio bene» disse lei abbracciandomi ancora una volta. «Anch’io ti voglio bene» sussurrai. Poi se ne andò lasciando me e Mindy senza dire altro, perché tutte le cose importanti ce le eravamo già dette la notte precedente. Mindy andò a chiudere la porta poi si voltò verso di me con gli occhi spalancati, visibilmente scossa, come se rimpiangesse già la serenità che Dara Packwood era stata capace di infonderci fino a qualche istante prima. «Mmm… cosa devo fare, Jessica?» mi chiese, lanciando un’occhiata al vassoio. «Devo… aiutarti?» «No. Rimani qui e basta, in caso qualcosa dovesse andare storto» le dissi. A quelle parole la mia testimone impallidì, ma annuendo disse: «Ok». Dopo di che sembrò intuire che avevo bisogno di un po’ d’intimità, e indietreggiò di qualche passo. Io mi sedetti al tavolo e, senza concedermi ulteriori esitazioni, allungai il braccio sinistro sul vassoio e con la mano destra presi il coltello.
 
 
Capitolo 16
 
Avvicinai la lama al polso, ma mi fermai. Procurarmi una ferita sarebbe stato doloroso e, se avessi tagliato troppo in profondità, avrei potuto sanguinare eccessivamente. La gente si suicidava tagliandosi le vene del polso… Sapevo che non sarei morta quella notte – non era possibile distruggere un vampiro in quel modo – ma le mani mi tremavano lo stesso, mentre piazzavo la lama nel punto in cui una sottile vena blu sfiorava la superficie della mia pelle. Una cosa era Lucius che in un momento di passione mi mordeva, e un’altra era starsene seduta da sola, come un chirurgo inesperto, a raccogliere il proprio sangue… in un calice che mi sembrava diventare sempre più grande… Dietro di me, Mindy si spostava nervosamente da un piede all’altro facendo frusciare il suo abitino nero, così capii che dovevo sbrigarmi. Si stava facendo tardi e non volevo fare attendere gli invitati, tantomeno Lucius. Lucius… Ovunque fosse, probabilmente nei più segreti recessi della tenuta dei Vladescu, Lucius stava celebrando lo stesso rito. Ma una cosa era certa, la sua mano non tremava. Me lo immaginavo mentre sollevava il coltello con fare disinvolto e la lama entrava in contatto con la sua pelle, tracciando una linea quasi invisibile sul suo braccio. Una linea che nell’arco di pochi secondi sarebbe diventata color cremisi all’affiorare del sangue in superficie. Dopo di che Lucius avrebbe messo il polso sopra il calice… Con mano più ferma, provai a premere con maggior forza il coltello sul polso e sussultai quando la lama, affilata come quella di un bisturi, tagliò. Premetti ancora un po’, concentrata sulla mia sottile vena blu e udii Mindy trattenere il fiato quando il sangue scuro e denso di colpo iniziò a sgorgare fuori dal taglio, tingendomi il polso di rosso. All’inizio quel piccolo taglio non mi faceva male, ma dopo poco iniziò a pizzicare finché il fastidio aumentò e dovetti sforzarmi di ignorare quel dolore acuto e pulsante. Fallo per Lucius… Il peggio è passato… Preparandomi a sentire altro dolore, spinsi giù la lama di qualche millimetro ancora, poi con movimento rapido e attento girai il braccio con la ferita rivolta verso il basso, e le gocce di sangue, che ora uscivano copiose, iniziarono a cadere a ritmo regolare nel calice. Ero certa che Mindy fosse terrorizzata, e anche un po’ disgustata, da ciò che stavo facendo. Al suo posto, non avendo mai assaggiato e condiviso con altri il sapore del sangue, avrei reagito allo stesso modo. Ma qualcosa in me era cambiato e, nonostante il dolore, non riuscivo a pensare ad altro che alla bellezza del colore di quel liquido. A quanto desideravo condividere la mia vera essenza con Lucius, quella notte, come tante altre in futuro… «Jess…» La voce di Mindy interruppe il flusso dei miei pensieri e sollevai lo sguardo. Vidi allora che si era avvicinata e che stava osservando con aria preoccupata il mio braccio. «Credo che così possa bastare» disse. «Ora fermati…» «Sì» le dissi, notando che nel calice si era raccolto sangue a sufficienza. «Basta così». A quel punto adagiai il braccio sul vassoio, con la ferita rivolta all’insù, e con l’altra mano presi la tazzina con le erbe – salice e zenzero – che avrebbero dovuto rallentare il processo di coagulazione del sangue. Le versai nel calice e poi allungai una mano per prendere le bende. «Vieni qui» disse Mindy e, con mia grande sorpresa, mi afferrò prontamente il braccio sanguinante e prese una delle bende. «Lascia che ti aiuti, così non rischi di sporcarti l’abito». «Ok» dissi lasciandole premere il pezzo di stoffa sulla mia ferita. Dopo circa un minuto, quando il sangue smise di tingere la benda, Mindy ne sollevò con attenzione un lembo e diede un’occhiata. «Credo si sia fermato» disse guardandomi negli occhi. «Ma lascio lo stesso la benda, per non rischiare di riaprire accidentalmente la ferita, ok?» Annuii. «Grazie». Non che quella fosse la risposta giusta alla sua domanda, ma volevo che sapesse che apprezzavo molto la calma e la fermezza con cui stava affrontando una situazione che non rientrava esattamente nei compiti di una damigella d’onore. Le ero grata anche per come mi guardava, perché quello sguardo mi diceva che non le suscitavo repulsione. La guardavo e lei mi fasciava il polso con lo stesso amore con cui mi acconciava i capelli. Fu così che capii di aver fatto la scelta giusta chiedendole di essere la mia testimone. Capii di aver scelto, tanti anni prima, la ragazza giusta come mia migliore amica. «Grazie» ripetei mentre infilava un’estremità della benda sotto la fasciatura, così che questa avesse l’aspetto più ordinato possibile. Quando Mindy si alzò, sollevai il braccio e vidi che quella fasciatura, che temevo stridesse con l’elegante abito da sposa, non era poi così male. Mi ricordava ancor più che, nonostante i miei sforzi e quelli di Lucius per rendere perfetto il giorno del nostro matrimonio e per essere perfetti l’uno per l’altra, non eravamo altro che due anime dannate, la cui unione portava con sé non solo amore profondo, ma anche antiche ferite. C’era una parte di noi da cui avremmo dovuto per sempre stare in guardia. Avrei dovuto per sempre ricordare a me stessa la terribile infanzia di Lucius e comprenderlo se a volte aveva bisogno di starsene un po’ da solo. E Lucius avrebbe per sempre dovuto rassicurarmi sul fatto che non avrebbe permesso al suo lato oscuro di prendere il sopravvento. Lasciai scivolare le dita lungo la benda, accennando una piccola smorfia di dolore mentre sfioravano la ferita. Lucius avrebbe sfoggiato una fasciatura identica, grazie all’aiuto di Raniero, e avrebbe provato lo stesso tipo di dolore… «Lo porto fuori?» si offrì Mindy, allungando una mano verso il vassoio. «No, aspetta» le dissi. «Non ho ancora finito». «Ah no?» disse Mindy aggrottando la fronte e il tono con cui lo disse mi fece capire che, anche se fino a quel momento era stata un’ottima assistente, una parte di lei avrebbe preferito di gran lunga non vedermi versare dell’altro sangue quella notte. Ma non avevo scelta, così presi di nuovo in mano il coltello, ma questa volta senza timore, perché sapevo di poter sopportare quel genere di dolore. Poi, con la mano sinistra, tracciai una “X” sul palmo della mia mano destra, tagliando in profondità. Ancora una volta, il sangue iniziò a uscire, così presi l’ultima benda pulita e la strinsi forte in pugno per fermare il flusso del sangue. «Lucius farà lo stesso sulla sua mano sinistra» spiegai a Mindy che mi guardava in maniera comprensibilmente sconcertata. «Così, quando pronunceremo i voti e ci prenderemo per mano, il nostro sangue si mescolerà». «Wow…» Ero sicura che Mindy, l’eterna romantica, fosse combattuta tra il pensiero che quello fosse il gesto più bello che avesse mai visto e la convinzione che in esso ci fosse anche qualcosa di profondamente sbagliato. «Ad alcuni vampiri rimane la cicatrice per tutta l’esistenza» aggiunsi. «Come una fede nuziale che non puoi toglierti». Ecco perché avevo voluto tagliarmi così profondamente. Volevo qualcosa che mi ricordasse per sempre la notte in cui avevo sposato Lucius. La mia prima cicatrice. Ero certa che Lucius a sua volta si sarebbe procurato una ferita profonda e ampia e che, avendo subito innumerevoli soprusi in passato, sarebbe rimasto impassibile mentre si tagliava il palmo della mano. Mindy non sapeva cosa dire, così le feci cenno che poteva portare via il vassoio – e poteva anche smettere di preoccuparsi perché non avrei più dovuto usare il coltello. «Ho fatto, perciò se non ti crea problemi…» «Ma certo» disse mettendo il coperchio sul calice. Poi portò via il vassoio, tenendolo in equilibrio su una mano per aprire la porta. Il servitore, che attendeva in silenzio, glielo prese dalle mani e Mindy richiuse la porta. «E adesso?» chiese attraversando la stanza. «Adesso aspettiamo» risposi «che qualcuno ci guidi nel posto dove avrà luogo la cerimonia». Ed eccola lì, a dispetto delle rassicurazioni della mamma, l’agitazione che tornava a serrarmi la gola. Da qualche parte, nel castello, i nostri invitati – vampiri e umani – si stavano radunando, e Lucius stava per arrivare… Chi sarebbe venuto a prendermi qui? Un altro servitore? Una delle guardie di Lucius? Non dovetti aspettare tanto per saperlo, perché prima ancora che Mindy potesse decidere se rischiare o meno di spiegazzarsi l’abito sedendosi, qualcuno bussò alla porta e io corsi ad aprire, troppo impaziente e ansiosa per lasciarlo fare alla mia testimone. Spalancai la porta che dava sul corridoio e vidi che qualcuno si era preparato con cura mentre io celebravo il rito nella mia stanza. Salutai con enorme entusiasmo la mia nuova guida.
 
 
Capitolo 17
 
«Sei bellissima» disse papà con gli occhi lucidi, mentre entrava nella stanza. Poi sorrise ed esclamò: «Siete entrambe bellissime!». Notò la mia fasciatura e la benda che stringevo in pugno e un’ombra gli attraversò il volto. Essendo stato per molto tempo in Romania insieme alla mamma per studiare i vampiri, conosceva già il loro rituale matrimoniale e molto probabilmente sapeva benissimo in cosa consistesse. Ma ebbi la netta sensazione che, sebbene fosse stato sempre una persona dalla mentalità aperta, non gli piacesse l’idea che sua figlia avesse dovuto procurarsi delle ferite. Nonostante ciò non disse una parola. Proprio come la mamma, anche lui mi stava lasciando andare. «Anche lei non è niente male, signor Packwood» ribatté Mindy. Mi presi un istante per studiarlo da capo a piedi, poi sollevai lo sguardo incapace di trattenermi dall’esclamare in tono di sorpresa: «Papà?». Immaginavo che si sarebbe vestito bene per la cerimonia, ma lo smoking che indossava sembrava uscito dall’armadio di Lucius. La giacca cadeva benissimo sulle spalle e i pantaloni terminavano alla giusta altezza su un paio di scarpe scintillanti. Inoltre indossava il papillon in maniera impeccabile, come se qualcuno gliel’avesse sistemato con una livella. In poche parole, anche mio padre aveva un aspetto regale. «Si sposa mia figlia» mi ricordò papà, interpretando la mia espressione. «Lo smoking è d’obbligo!» Poi mi sorrise aggiungendo: «Anche se, lo confesso, a commissionare questo vestito per me è stato Lucius, che a quanto pare non è solito affittare vestiti». Scoppiai a ridere mentre papà faceva il verso a Lucius: «Comprendo la tua predilezione per il riciclaggio, Ned, ma a tutto c’è un limite. E questo è il mio matrimonio!» «Sembra proprio Lukey» esclamò Mindy, divertita. Fece sorridere anche me. In effetti, sembravano proprio parole sue… Poi papà mi porse il braccio dicendo: «Sei pronta? Gli invitati e soprattutto lo sposo stanno aspettando la loro principessa!». Ma il tono scherzoso con cui accompagnò quel gesto e quelle parole, non poté esimerci dal diventare di colpo seri. Il sorriso scomparve. Mindy avvertì il cambiamento e in silenzio si portò dietro di me, mentre prendevo a braccetto papà. Attesi che sollevasse la coda del mio abito. Era il momento… «Papà» mormorai mentre ci dirigevamo verso la porta fianco a fianco. «Tu conosci la strada? Questo castello è un labirinto!» Non volevo che mi svelasse il segreto che Lucius aveva custodito fino a quel momento, non dopo tutta quella paziente attesa. Avevo solo paura che ci perdessimo. «Lucius ha pensato anche a questo» disse papà con una strana luce negli occhi. Poi aprì la porta e potei finalmente vedere ciò che avevo solo intravisto, quando mio padre era entrato frettolosamente nella stanza, forse proprio per non permettermi di vedere ciò che mi aspettava nel corridoio. «Oddio, è bellissimo» esclamai, quasi senza fiato, fermandomi sulla soglia. O forse fu Mindy a farlo. O entrambe. Il corridoio era illuminato per tutta la sua lunghezza da centinaia di candeline votive sistemate in piccoli portacandele di cristallo. Erano stati disposti a una distanza di pochi centimetri l’uno dall’altro, essendo l’unica fonte d’illuminazione di un corridoio altrimenti immerso nell’oscurità. Un sentiero di luce, ecco cosa sembrava. Era stato un pensiero gentile da parte di Lucius… Come sempre mi accadeva poco prima di vederlo, avevo lo stomaco sottosopra e, nonostante fossi in preda al panico per via della cerimonia imminente, strinsi il braccio di papà per esortarlo a procedere, così iniziammo a percorrere quel corridoio che si dipanava, contorto e ingarbugliato, nel cuore del castello. Camminammo a lungo, o almeno così mi sembrò, in silenzio, attraversando luoghi del castello che, per quanto mi sforzassi, non ricordavo di avere mai visto. Forse Lucius me li aveva mostrati e non me li ricordavo più. Tutto aveva un’aria così diversa quella notte. C’era un’atmosfera magica, strana, quasi sacra. Il mio cuore, che aveva rallentato il suo battito da quando ero diventata un vampiro a tutti gli effetti, sobbalzava a ogni passo. Allo stesso tempo, però, una sensazione di tranquillità iniziava a insinuarmisi dentro. In fondo a quel corridoio avrei trovato Lucius ad attendermi… Il momento che stavamo aspettando – quello che avrebbe dato senso alla nostra esistenza – era arrivato… Di colpo il corridoio curvò in maniera così brusca da indurci a pensare che ci saremmo ritrovati davanti un muro, un vicolo cieco, ma quando girammo l’angolo, un soffio d’aria calda mi sfiorò il viso. Respirai a pieni polmoni il profumo di fiori che trasportava con sé. Vidi che la fila di candele terminava a pochi metri da noi, all’altezza di un passaggio ad arco che sembrava scavato nella pietra. Guardai papà con la coda dell’occhio e mi accorsi che stava sorridendo, come se sapesse che avrei apprezzato ciò che stavo per vedere, e pochi istanti dopo, nonostante fossi indecisa se volere o no che l’attesa finisse, tanto era bella quella sensazione, giungemmo al termine del nostro cammino e Mindy posò a terra la coda del mio abito. Mentre passavamo sotto l’arco, mi portai una mano al petto, dimenticandomi che rischiavo di macchiarlo di sangue, e sussurrai piano: «Oh, Lucius!».
 
 
Capitolo 18
 
Rimasi senza fiato per la sorpresa. Lucius aveva scelto come cornice del nostro matrimonio non una maestosa sala da ballo, bensì un piccolo cortile interno dall’atmosfera intima, delimitato da pareti di pietra completamente ricoperte di piante rampicanti e intricati viticci di belle di notte, fin su dove iniziava l’edera che andava a formare una sorta di tetto sopra di noi. Gli ultimi boccioli bianchi di fine estate sembravano tante stelle sul punto di tuffarsi dal cielo in terra. Le uniche fonti d’illuminazione erano la luna e le candele – c’erano candele ovunque – che erano state disposte in cima agli archi che davano sul cielo, a dozzine sul tavolo di pietra dove giacevano due calici d’argento e nascoste in mezzo al tripudio di fiori che crescevano rigogliosi nel giardino. Era perfetto, proprio come aveva detto Lucius. Sebbene quello fosse il cuore del castello e lui tenesse molto al fatto che qui regnassero ordine e precisione, quel cortiletto possedeva un’indomita, quasi caotica bellezza, proprio come l’amore. Almeno quello che io provavo per Lucius, un amore incontenibile, un luogo selvaggio che risiedeva al centro del mio cuore e che in passato aveva dovuto lottare con il mio lato più razionale. Quel giardino e la vista di Lucius mi strapparono un sospiro. Lui era lì, che mi aspettava in fondo a un vialetto fra la vegetazione, in piedi davanti al tavolo di pietra, con un’espressione seria e risoluta. Non si trattava, però, di quel lato oscuro che faceva parte di lui. No. Era come se fosse così felice da non riuscire nemmeno a sorridere. Lo capii perché anch’io mi sentivo così. Provavamo una gioia tale che un sorriso non sarebbe bastato, una gioia così profonda da poter essere espressa solo con lo sguardo. Sapevo che gli invitati mi stavano guardando, ma a malapena mi accorsi della loro presenza su entrambi i lati del vialetto, e non iniziai subito a camminare verso Lucius. Restammo così, senza parole, persi nel tempo e nello spazio, persi l’uno nello sguardo dell’altra. Nonostante fosse abbastanza distante da me, capii ugualmente di essere riuscita nell’intento di farlo commuovere. Capii che non avrebbe mai dimenticato il momento del mio ingresso nel giardino, così come io non avrei mai dimenticato il suo portamento fiero, il modo in cui mi attendeva a testa alta con le mani dietro la schiena. Se ne stava lì, perfettamente immobile, con gli occhi fissi nei miei per condividere solo con me quella straordinaria felicità, consapevole che quell’istante sarebbe stato irripetibile. Saremmo restati così per ore, se mio padre non avesse lasciato il mio braccio baciandomi sulla guancia. Così riuscii a distogliere finalmente lo sguardo da Lucius per rivolgerlo verso papà, che con le lacrime agli occhi mi disse: «Ti voglio bene, Jess». Avrei voluto rispondergli ma mi si strinse la gola, così non mi rimase che sperare che capisse lo stesso ciò che avrei voluto dirgli. Un istante dopo, lui si fece da parte, perché, come tradizione voleva, da quel punto in poi avrei dovuto proseguire da sola. Non avevo un mazzo di fiori in mano. Dovevo presentarmi davanti a Lucius a mani vuote, a simboleggiare che da quel momento mi affidavo a lui senza riserve. Feci un cenno a Mindy, che iniziò a camminare davanti a me a passo lento, e quando arrivò davanti al tavolo di pietra, andò a prendere il suo posto e si voltò verso di me. Gli invitati si alzarono in piedi e fecero lo stesso. Io li guardavo ma non li vedevo, non vedevo né Mindy che mi aspettava, né Raniero in piedi alla destra di Lucius. Ero di nuovo ipnotizzata dalla vista di Lucius. I suoi capelli neri brillavano sotto i raggi della luna che, insieme al bagliore delle candele, disegnavano il suo profilo: quegli zigomi alti, il naso dritto e la mandibola forte che mi avevano attratto sin da quando l’avevo conosciuto in Pennsylvania, in un giorno e in un luogo che sembravano lontani anni luce da tutto ciò che stavo vivendo in quel momento. Indossava uno smoking, scuro come i suoi occhi, perfetto come era perfetto quel giardino per l’occasione. Il vestito era sobrio – niente code, né risvolti di seta – ma quella semplicità non faceva che accentuare l’autorevolezza di Lucius, come se il suo potere fosse già così evidente da non aver bisogno di farne ulteriore mostra. D’altronde aveva l’aria di un principe anche quando indossava un semplice cappotto nero, una maglietta bianca, una cravatta e dei pantaloni neri stretti, come in occasione della cena che aveva avuto luogo la sera prima. Era teso, ma a suo agio, come si addiceva al guerriero che era stato educato a essere. Mi aspettava e io non riuscivo a credere che fosse davvero mio. Era sempre stato così alto? Così attraente? Così irresistibile? Mentre camminavo verso di lui, mi accorsi che qualcosa di colorato in realtà ce l’aveva: un panciotto grigio tortora, che richiamava il ricamo sul mio corpetto. Quando gli arrivai davanti, tolse le mani da dietro la schiena, come se non potesse attendere oltre di toccarmi, e fu allora che intravidi anche qualcosa di bianco sul suo braccio: la benda immacolata che gli avvolgeva il polso. «Antanasia…» disse quando fui così vicina da udirlo. Ma la meraviglia e lo stupore – sentimenti difficili da controllare perfino per Lucius Vladescu – lo lasciarono senza parole. «Io… io…» A quel punto sorrisi, perché avevo ottenuto il risultato che speravo. Lucius, mai a corto di parole, non riusciva a trovare quelle giuste per esprimere ciò che stava provando. Presi posto al suo fianco, e lui ricambiò il sorriso, mostrando, per la prima volta quella notte, i suoi denti candidi che avrei sentito di nuovo su di me, più tardi quella notte. Sollevai lo sguardo per incontrare il suo. Ero certa che niente mi avrebbe resa più felice del momento in cui avrebbe allungato la mano sinistra per prendere la mia destra. Il momento in cui le palme delle nostre mani si sarebbero incontrate, sia per sancire la nostra unione ufficiale, sia per riaprire gentilmente le ferite e lasciare che il nostro sangue si mescolasse. La ferita, ancora fresca, mi diede una fitta mentre si riapriva e Lucius mi guardò attentamente, preoccupato e dispiaciuto di provocarmi altro dolore, ma io scossi la testa, impercettibilmente, perché capisse che non c’era motivo di preoccuparsi. A un mio cenno, mi strinse più forte la mano, e io riuscii a malapena a nascondere una smorfia di dolore. Sentii il sangue uscire dalla ferita che si riapriva. Credevo che l’istante in cui Lucius aveva affondato i denti nella mia gola sarebbe per sempre stato il più bello della mia vita, ma non era nulla paragonato alla celebrazione della nostra unione eterna al cospetto di amici e parenti. Niente, in confronto allo sguardo di desiderio e venerazione che vidi nei suoi occhi, come se ogni barriera fra noi fosse definitivamente crollata, mentre il nostro sangue gelido si confondeva. Restammo così ancora un po’, per imprimere quel momento nella memoria, poi ci voltammo verso i più venerandi fra gli Anziani, i quali nel frattempo erano emersi dall’oscurità per avvicinarsi al tavolo di pietra. «Che la cerimonia abbia inizio…» dissero.